Il paradigma investigativo e la psicoterapia breve strategica. Tesina per filosofia teoretica.
[the_ad id=”276″]
Le relazioni tra il metodo investigativo utilizzato nei processi di detection ed il metodo che porta un medico a riconoscere una malattia partendo da alcuni sintomi sembrano essere molto strette.
Lo stesso Artur Conan Doyle ci confida di essersi ispirato ad un famoso medico, Joseph Bell, per plasmare il carattere del suo personaggio, il più famoso tra gli investigatori, Sherlock Holmes.
La medicina tuttavia non è l’unico sapere che si avvale del processo conoscitivo suggerito dal paradigma investigativo.
In “La psicoterapia come un romanzo giallo”, lo psicoterapeuta M.Rampin traccia parallelismi tra il metodo dei più famosi detective ed il metodo utilizzato dagli psicoterapeuti (parliamo in questo caso di coloro che si attengono al modello della psicoterapia breve strategica) per produrre cambiamento e risolvere i problemi presentati dai clienti/pazienti.
Nonostante Rampin attinga al repertorio del romanzo poliziesco per portare esempi e delineare parallelismi con la propria attività professionale, l’identità di metodo sembra combaciare assai più propriamente tra medicina e detection che tra psicoterapia e detection.
In psicoterapia il metodo investigativo è si proficuo, come ci spiega Rampin, ma è anche utilizzato in maniera assai originale rispetto all’ambito medico.
Le differenze nell’applicazione del metodo appaiono subito più chiare se si analizzano alcuni casi risolti proposti da Rampin alla luce delle ipotesi di Eco sui tipi di abduzione.
E’ necessario innanzitutto recuperare il concetto Peirciano di abduzione (che stranamente non compare nel libro di Rampin), precisamente il tipo che Eco chiama abduzione creativa, come quella capacità di narrare mondi possibili partendo da alcuni elementi (tracce, sintomi, indizi) disponibili; la scommessa che il mondo possibile narrato coincida con il mondo reale è detta da Eco “meta-abduzione”.
E’ questa, in sintesi, l’abilità che medici e detective dovrebbero sviluppare.
Ma allo psicoterapeuta è sufficiente questa abilita? Sembra di no. Egli deve sapersi spingere oltre.
Abduzioni ipercodificate o abduzioni creative?
[the_ad id=”276″]
Come Artur Conan Doyle, anche Rampin ha il suo strabiliante medico-insegnante a cui ispirarsi.
Come nel caso del creatore di Sherlock Holmes, anche il personaggio di cui ci parla Rampin sembra possedere abilità tali da apparire magiche ai più.
È nel primo caso risolto che Rampin ci svela le incredibili capacità abduttive di Stremembesi, il suo vecchio insegnante e grande medico.
Questo caso, pur rappresentando un applicazione medica del paradigma investigativo, porta con se interessanti spunti di riflessione.
Rampin ci introduce nella corsia di un ospedale durante le consuete visite studio presso alcuni pazienti, di un gruppo di studenti in medicina guidati dal grande professore.
Il medico mette alla prova i suoi studenti presentando loro un caso difficile: prima li porta con se davanti ad una signora inglese di sessant’anni, che li accoglie mentre beve il té delle cinque in una tazza di porcellana che ha portato con se da casa (la signora è piuttosto abitudinaria), poi li raduna in una sala riunioni, fa leggere l’anamnesi e i sintomi della paziente (formicolii, perdita di forza prensile…), crea tensione svelando che la signora è in pericolo di vita e li interroga in merito alle possibili soluzioni del caso.
Come in ogni giallo, gli studenti brancolano per un po’ nel buio finché il professore-detective non svela il mistero.
Lette queste righe, un abile detective avrebbe già intuito la pista che porta alla soluzione del caso. Perché mai, riassumendo sinteticamente una storia, avrei dovuto soffermarmi tanto sulle tazze in porcellana da cui la paziente stava bevendo il consueto té? Proprio perché quella è la chiave del mistero.
Il bravo medico mette prontamente in mostra le sue doti di abduttore creativo: studiando con attenzione la paziente e le sue abitudini nota che è solita bere tutti i giorni un té al limone in tazze di porcellana dipinta a mano (se le porta anche in ospedale); il limone intacca la vernice e la scinde negli elementi di cui è composta.
Quando svela il mistero agli studenti il medico ha già in mano il risultato del test che prova la sua ipotesi abduttiva: intossicazione da piombo.
Ma si tratta davvero di abduzione creativa e meta-abduzione, o il medico approfitta della situazione per pavoneggiarsi un po’ davanti agli studenti sbalorditi?
L’applicazione medica del metodo indiziario non dovrebbe necessariamente prevedere abduzioni creative, poiché un dato tipo di sintomi dovrebbe riportare ad un certo numero di malattie conosciute ed i test dovrebbero avere la funzione di escludere le ipotesi senza fondamento.
Non sarebbe stato sufficiente il tipo di abduzione che Eco chiama ipocodificata per risolvere il caso della paziente inglese? Il medico, avvalendosi della sua lunga esperienza, non avrà riconosciuto dai sintomi una possibile intossicazione da piombo, verificando poi l’ipotesi con i test? Siamo sicuri che non abbia giocato al detective, o meglio al narratore di gialli, inventando per i suoi studenti la storia di un processo induttivo-creativo che conduce dalla tazza al piombo, quando in realtà aveva compiuto più semplicemente il percorso in senso inverso, dal piombo alla tazza?
Il gioco del narratore è quello di rovesciare semplici processi abduttivi ipocodificati, trasformandoli in complesse e azzardate abduzioni creative e meta-abduzioni. La complessità del gioco narrativo sta nel produrre una storia credibile, nascondendo informazioni, inventando piste false, invitando il lettore a percorrerle. Compito del narratore di gialli è quello di ingannare abilmente il lettore dissimulando allo stesso tempo l’inganno, di distrarlo portando la sua attenzione su elementi poco importanti, di stupirlo con un finale inaspettato: un mestiere simile a quello dell’illusionista.
Lo psicoterapeuta, come si vedrà analizzando un altro caso risolto da Rampin alla luce dei tipi di abduzione proposti da Eco, gioca in maniera ancora diversa; egli è una figura ibrida: prima investigatore, poi narratore.
Psicoterapia e detection: differenze di metodo.
Un medico cerca di risalire ad una malattia partendo dai sintomi che questa presenta; un detective cerca tracce ed indizi che lo conducano al colpevole; uno psicoterapeuta che adotta le tecniche proposte dal modello breve strategico, cerca una soluzione ad un problema.
Se il detective fosse orientato alla soluzione dei problemi posti dai suoi clienti, egli sarebbe impegnato nell’ardua attività di far resuscitare i morti; la scoperta del colpevole infatti non cambia di una virgola l’esito di un omicidio, così come la diagnosi di depressione non restituisce gioia di vivere al paziente di uno psicoterapeuta.
Se in medicina e nella detection si cerca sostanzialmente di risalire ad una causa, ovvero si cerca ciò che genera un evento partendo da alcune informazioni disponibili, nel modello psicoterapeutico strategico tale applicazione metodologica è considerata non esaustiva.
Nonostante la sua formazione di stampo medico, anche Rampin dichiara che
nell’arte medica il lavoro di indagine e di rilevamento sistematico dei particolari più minuti e degli indici più sfumati del comportamento è assolutamente necessario. Eppure questo lavoro non è sufficiente in quel particolare settore della medicina che è la psicoterapia. La cura dei disturbi del comportamento, infatti, differisce dalla cura dei disturbi del corpo per un aspetto cruciale: i disturbi del comportamento non sono guaribili con la logica, con la razionalità con il senso comune. Un sintomo psicopatologico è una manifestazione dell’Irrazionale, un’inquietante irruzione del Mistero nella normalità della vita quotidiana. […] Se la materia della psicopatologia è l’irrazionalità, si comprende come sia assurdo sperare di «risolverne i casi» usando la logica. Questo vale anche per la fase di rilevazione dei dati: anche se l’osservazione attenta e metodica è sempre irrinunciabile, è pericoloso e fuorviante pretendere di inquadrare i dati raccolti in griglie di lettura razionali o logiche, poiché la logica del sintomo non è la logica comune. […]
Questa affermazione avrebbe messo in seria difficoltà il razionale Holmes, ma il suo mestiere è quello del detective, non dello psicoterapeuta. Se i detective “sono remunerati dalla società per la loro impudenza nello scommettere meta-abduttivamente1”, gli psicoterapeuti sono remunerati per la loro capacità di produrre un cambiamento.
Lo psicoterapeuta non può accontentarsi delle cause. Una volta svolto il compito dell’investigatore, egli deve trasformarsi in narratore e raccontare al paziente una storia nella quale egli, alla fine risolve il problema che lo affligge.
Per raggiungere questo obiettivo, dice Rampin,
altre armi e altre risorse dovranno essere a disposizione dello psicoterapeuta. […] Per reperire queste armi bisogna abbandonare i territori familiari e consolidati della scienza classica, tradizionale, e inoltrarsi in quelli elusivi, tortuosi e affascinanti dell’astuzia, dello stratagemma, del paradosso.
E della narrazione, aggiungerei.
Un caso risolto da Rampin, riletto attraverso i tipi di abduzione ipotizzati da Eco, ci aiuta ad inquadrare il metodo investigativo-narrativo utilizzato dallo psicoterapeuta.
Il caso che meglio si presta a questa analisi sembra essere quello che Rampin chiama “la sorsata scomparsa”.
Il problema presentato dalla paziente è la totale incapacità di deglutire liquidi. Sebbene fosse perfettamente in grado di nutrirsi con cibi solidi, un incontrollabile terrore di soffocarsi impedisce alla paziente di Rampin di deglutire anche la più piccola quantità di qualsiasi liquido.
La signora in questione, al momento dell’incontro con lo psicoterapeuta, era già passata sotto l’attenzione di diversi medici dalle più varie specializzazioni. Erano quindi stati esclusi problemi di natura organica. Anche la psicoanalisi non aveva ristabilito la paziente.
La natura bizzarra di questo caso contribuisce ad evidenziare la scarsa efficacia che avrebbe (e che in effetti ha avuto) un indagine volta alla ricerca della causa psicologica del sintomo.
A questo punto lo psicoterapeuta veste i panni dell’investigatore e avvia le indagini. A differenza del detective però, egli non va alla ricerca del colpevole (lo hanno già fatto gli altri suoi colleghi) ma deve tentare di resuscitare il morto.
Lo psicoterapeuta studia ed osserva il comportamento della paziente, cercando l’indizio che lo porti sulla pista giusta.
Ma quanto più riflettevo sul caso, tanto più mi convincevo che la soluzione doveva essere a portata di mano – perchè di bere un bicchier d’acqua si trattava – e che per trovarla dovevo seguire la strada della semplicità.
Come accade a Dupin investigando sul delitto della Rue Morgue, anche Rampin si convince che la bizzarìa di un caso è più un aiuto che un ostacolo sulla strada della soluzione.
Con un abile abduzione creativa, assai azzardata se si tiene presente la formazione medica dello psicoterapeuta, egli ipotizza una soluzione molto semplice ad un problema che un lungo elenco di illustri medici non ha saputo risolvere nel corso di anni.
La strada da seguire è quindi quella della semplicità, ma la meta-abduzione viene sospesa.
Purtroppo non è sufficiente comunicare alla paziente che il suo problema è semplice per liberarla da esso.
Non sarebbe neppure sufficiente spiegare alla paziente il modo in cui risolvere il proprio problema: non servirebbe tentare di convincerla che bere un bicchier d’acqua è semplice… come bere un bicchier d’acqua.
Rampin si avvede della soluzione del caso quando si accorge che inavvertitamente, come ogni essere umano, la paziente deglutisce saliva.
A questo punto lo psicoterapeuta sveste i panni del detective per indossare quelli del narratore.
Egli deve di nuovo fare ricorso all’abduzione creativa, ipotizzando un mondo analogo a quello del paziente: un mondo in cui una persona come il suo paziente presenterebbe il problema che presenta davvero.
Rampin convoca la paziente e le narra la storia, quella di cui lei è protagonista, della soluzione del suo problema.
Ma come un bravo narratore di romanzi polizieschi non svela subito il mistero. Racconta alla paziente che il suo problema è già risolto, poiché quotidianamente deglutisce litri di liquido sotto forma di saliva; con un’efficace strategia le propone una sfida: quella di bere dal bicchiere sul tavolo una quantità d’acqua piccola quanto un sorso di saliva. La paziente accetta e beve.
Come lo scrittore di gialli inganna e depista il lettore, così lo psicoterapeuta utilizza gli strumenti della comunicazione che Watzlavick chiama retorico-persuasiva per costringere il paziente a compiere il cambiamento necessario che lo libererà da quel problema, senza che egli se ne renda immediatamente conto. Egli è un narratore di storie poliziesche in cui il paziente, lettore e protagonista al tempo stesso, viene depistato fino all’ultimo e accompagnato fuori dal proprio problema. Alla fine della terapia, il paziente si trova spiazzato: ha risolto il problema e non sa come ha fatto.
Il paradigma investigativo associato all’approccio strategico costituisce un metodo orientato semplicemente alla soluzione di un problema. Per tornare a Peirce, ad Eco ed alle abduzioni, se Zadig usasse un approccio strategico, racconterebbe ai messi regali di aver incrociato nel bosco qualcuno che, descritti gli animali, li aveva visti fuggire in una certa direzione. Gli animali sarebbero stati ritrovati e Zadig non avrebbe avuto i problemi che conosciamo.
1U.Eco Ipotesi su tre tipi di abduzione in “Il Segno dei Tre”